• Sophie KO
  • Alzarono gli occhi e avvertirono il cielo
  • galerie EAST, Strasbourg
  • oct.. 08 - nov.. 26, 2022
Alzarono gli occhi e avvertirono il cielo Alzarono gli occhi e avvertirono il cielo

Sophie KO

©EmilieVialet Alzarono gli occhi e avvertirono il cielo

Sophie KO

©EmilieVialet La zolla

Alzarono gli occhi e avvertirono il cielo

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©EmilieVialet Alzarono gli occhi e avvertirono il cielo

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©EmilieVialet Alzarono gli occhi e avvertirono il cielo

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©EmilieVialet Angeli

Alzarono gli occhi e avvertirono il cielo

Sophie KO

©EmilieVialet

Immagini e tempo : Questo celebre passo tratta dalla Scienza nuova di Giambattista Vico dà il titolo a questa mostra di Sophie Ko in cui sono presentate alcune nuove Geografie temporali. Le Geografie temporali di Sophie Ko nascono da una domanda tradotta in immagine sul tempo. Da sempre le immagini sono concepite nelle culture occidentali come una via privilegiata di accesso al tempo. Le immagini vivono nel tempo, ne sono testimoni; le immagini scompaiono, ritornano nel tempo e al tempo sopravvivono. Le immagini portano con sé anche un proprio tempo, con modalità diverse: le immagini parlano del tempo che vivono, ci mostrano la Ioro scomparsa, la coriacea resistenza o addirittura una gloriosa rinascenza alla furia distruttiva della storia.



Dove l'immagine brucia: le ceneri : Nello scritto L'immagine brucia (2006) Georges Didi-Huberman propone di guardare alle immagini del passato impegnandoci a sentire dove queste ancora «bruciano». Sentire dove l'immagine brucia, significa tentare di entrare in contato con il tempo dell'immagine, al di là della linea cronologica in cui siamo inseriti, al di là del tempo che è o non è passato, al di là del tempo delle parole che servono a definirla. Come si può sentire dove ancora l'immagine «brucia»? Scrive Didi-Huberman: «per sentirlo, bisogna osare, bisogna avvicinare il proprio viso alla cenere. E soffiare dolcemente perché la brace, al di sotto, ricominci a sprigionare il suo calore, il suo bagliore, il suo pericolo. Come se, daII'immagine grigia, s'eIevasse una voce: «non vedi che brucio?»».
Questo bruciare di cui parla Didi-Huberman è al centro dei Iavori di Sophie Ko denominati Geografie temporali, nei quali la materia è fatta di immagini bruciate: ceneri di immagini bruciate degli antichi maestri, che ritornano a essere non solo semplici resti di immagini, ma immagine. Oppure pigmenti puri che disegnano con la Ioro metamorfosi sotto la pressione della gravità e del tempo geo-grafie, disegni della terra, disegni con la terra. Nelle Geografie temporali il fuoco, la gravità e il tempo appaiono come forza distruttive e come testimonianze della capacità di resistenza che l'immagine mostra ben oltre la sua dimensione di traccia. Così una Geografia temporale è un'immagine allo stesso tempo vecchia e nuova, fatta di mobili resti di altre immagini e nuove forme mutevoli. La cenere delle immagini bruciate è la fine dell'immagine, traccia di vecchie immagini, ma è anche un nuovo inizio, la materia di cui è fata l'immagine è sia il residuo di immagini passate, che il ritorno di un'immagine in una nuova forma. Come scrive Didi-Huberman in merito al concetto di «sopravvivenza delle immagini», l'immagine «brucia della memoria, vale a dire che essa brucia ancora, anche quando non è più che cenere: come a dire la sua essenziale vocazione alla sopravvivenza». Nelle Geografie temporali l'immagine continua a bruciare non solo come senso delle immagini scomparse, ma anche come figura che trae vita dalle spoglie di ciò che è distrutto. Il bruciare delle immagini è ciò che porta con sé la vita passata nel presente, è il crescere della vita che resiste alle forze distruttive del tempo.

Forza di gravità : Una componente essenziale delle Geogra fie temporali di Sophie Ko è la forza di gravità che opera sulla e con la materia del quadro, la cenere. La gravità spinge la cenere a cadere, la fa precipitare e in questo senso, dunque, ogni Geografia temporale è un segnatempo, un orologio a polvere. La cornice delimita Io spazio dell'immagine di cenere o di pigmento, come le ampolle della clessidra definiscono Io spazio del tempo
misurabile. Con il passar del tempo la composizione del quadro cambia, la cenere cade, il tempo grazie alla forza di gravità segna il suo passaggio.Il tempo che segna una Geografia temporale è il tempo della distruzione, deII'esaurirsi della vita: per questa ragione si spiega la presenza della clessidra in ogni Vanitas, nei Momento Mori ed è legata alla nascita del genere Natura morta.Ma il tempo della Geografia temporale come quello elargito da una clessidra non è solo il tempo della fine e della distruzione. Ernst Jùnger nel Libro dell'orologio a polvere ha osservato che le atmosfere e le costellazioni di immagini cui la clessidra rimanda sono duplici: da un lato l'orologio a polvere indica l'inesorabile finire della vita, è il simbolo del precipitare verso la fine di tute le cose terrene; dall'altro l'orologio a polvere concede all'uomo il tempo della meditazione, della profondità, dell'arte, deII'ozio. La clessidra si svuota con il cadere della polvere, il tempo passa inesorabile; ma come cresce la sabbia sul fondo deII'ampoIIa inferiore, così la vita prende forma nel suo scorrere, nel suo rapportarsi alle forze naturali.Le Geografie temporali intendono mettere in scena questo rapporto tra tempo e immagine fatto di peso, di pressione, di gravità e di distruzione del tempo sulle immagini, ma anche di formazione, profondità, ritorno e rinascita rispetto alla macina del tempo. Le immagini non solo subiscono il tempo, ma segnano un tempo, gli danno forma, Io portano alla visibilità, Io riempiono di senso, gli danno vita.Le Geografie temporali possono così essere concepite come disegni del tempo che si insediano in un luogo, immagini spaziali del rapporto dialettico che intratteniamo con il tempo.

I pigmenti puri e le insorgenze delle immagini : Le Geografie temporali la cui materia è il pigmento puro acquisiscono una valenza simbolica di immagini a venire, che rinviano appunto alle rinascenze, all'immagine pittorica come forma di anticipazione di senso, come nei marmi dipinti della tradizione pittorica rinascimentale che non sono una semplice mimesi dei marmi concreti, ma traggono vita molto più radicalmente da una pura volontà di figurazione. Il significato del tentativo di entrare in rapporto con le immagini Rinascimento è da individuare ancora una volta nella temporalità specifica di quelle immagini, che non può essere ricondotta né a modelli predefiniti, né a una successione lineare del tempo. Nella vita delle immagini non si dà né una genesi né una scansione in cicli di nascita e di morte. Quello delle immagini è un tempo eterogeneo che si manifesta per sopravvivenze, rimanenze, ritornanze delle forme, sicché le immagini del passato sono sempre pronte a insorgere nel presente.

Una porta e una finestra : Le opere presentate in questa mostra Alzarono gli occhi e avvertirono il cielo hanno il proprio baricentro in due Geografie temporali che si confrontano rispettivamente con due forme con cui abbiamo a che fare quaotidianamente: la porta e la finestra. La prima opera Per quelli che partono è una Geografia temporale costruita all'interno di una vecchia finestra. La Geografia temporale fa rivivere una vecchia finestra, una finestra nel senso in cui è stata descritta da Georg Simmel. L'uomo per Simmel è l'unico essere vivente in grado di «legare» e di «sciogliere»: «Astraendo due cose daII'imperturbata situazione della natura, per designarle come “separate» noi le abbiamo già nella nostra coscienza riferite l'una all'altra, le abbiamo distinte entrambe, insieme, nei confronti di tutto ciò che sta Ioro in mezzo. E viceversa: noi sentiamo collegato, soltanto ciò che abbiamo in precedenza e in qualche modo isolato. Le cose devono essere prima divise l'una dall'altra,
per essere poi unite». Lo stare al mondo dell'essere umano è caratterizzato da questa capacità di separare e di legare rispetto al fluire continuo e indifferente costituito dalla natura. Il dare forma con l'arte è una delle massime espressioni di questa facoltà umana di legare e sciogliere. Due dei segni allo stesso tempo più semplici e originari di questa facoltà umana sono da riconoscere nella porta e nella finestra.
Per Simmel la finestra è uno dei modi attraverso cui l'uomo lega e scioglie l'indistinto continuo della natura. La finestra è una via di collegamento tra il mondo interno e il mondo esterno: «essa», scrive Simmel, produce il «collegamento tra l'interno e l'esterno grazie alla sua trasparenza in modo quasi diacronico». Una finestra, aggiunge Simmel, «è una strada per Io sguardo», per uno sguardo che da un mondo chiuso, costruisce un mondo aperto, proprio grazie all'azione del guardare.
L'altra Geografia temporale intitolata Porta celeste torna a incontrarsi con un altro simbolo di ciò che per Simmel caratterizza l'essere umano, il separare e il riunire, il definire un limite e il poterlo superare. La porta con maggiore forza rispetto alla finestra racchiude questa facoltà umana, perché se la finestra è un luogo di separazione e di unione che è concepita per andare dal dentro verso fuori, la porta opera in una duplice direzione: da dentro verso fuori e da fuori verso un interno. Se, come scrive Simmel, «la parete è muta» invece «la porta parla». Parla nel senso che segna un limite che l'uomo dà a se stesso e allo stesso tempo pone la condizione perché questo limite — spaziale nel caso della porta — possa essere superato. Per Simmel quella «finitudine» che l'uomo esperisce a ogni passo, «confina sempre in qualche luogo con l'infinito dell'essere fisico o metafisico». La porta è uno di questi luoghi, l'«immagine del punto limite sul quale l'uomo resiste o può resistere». La porta «ci libera da questi punti fermi e deve accordare il meraviglioso sentimento di gettare uno sguardo tra cielo e terra, di contro l'ottusità che provoca l'abitudine quotidiana. E ancora: «Mentre il ponte come linea tracciata tra due punti prescrive con certezza la direzione incondizionata, l'illimitatezza delle direzioni, il numero infinito delle possibili strade si effondono dalla porta si gettano fuori dalla vita e dalla limitatezza dell'essere-per-sé determinato». Così il titolo della mostra riprende un celebre passo della Scienza nuova di Giambattista Vico in cui il sollevare Io sguardo verso il cielo, il percepire il cielo con gli occhi, è il punto di passaggio dalla condizione di «bestione» a quella di essere umano.
Le Geografie temporali di Sophie Ko che con estrema essenzialità incontrano la forma della finestra e della porta sono in grado di riportare la nostra attenzione e la nostra cura a quelle soglie spaziali e temporali di cui è fatta l'esistenza dell'essere umano. Con Io sguardo sostiamo su forme che ci rammentano che nient'altro abbiamo che rimanere fedeli a questa nostra capacità di sciogliere e legare, di separare e di riunire. Scrive Peter Handke in alcuni versi nel Canto alla durata: «Restando fedele / a ciò che mi è caro e che è la cosa più importante, / impedendo in tal maniera che si cancelli con gli anni, / sentirò poi forse / del tutto inatteso / il brivido della durata / e ogni volta per gesti di poco conto / nel chiudere con cautela la porta, / nello sbucciare con cura una mela, / nel varcare con attenzione la soglia, / nel chinarmi a raccogliere un filo.»

TESTO DI MAURIZIO GUERRI, OTTOBRE 2022