







La personale di Sophie Ko ruota intorno al tema dell'infinito del cosmo e della possibilità di una sua rappresentazione attraverso le immagini. Ora tale questione è al centro del pensiero del filosofo Giordano Bruno, bruciato sul rogo dal Tribunale dell'inquisizione a Roma nel 1600.
Bruno è stato uno dei primi pensatori ad abbracciare la dottrina copernicana, ma se in Copernico il cosmo è ancora da intendersi come finito, in Bruno esso è concepito come infinito. Sotto questo aspetto, dunque, non vi è differenza tra universo e dio: dio non si dà se non come infinità dell'universo. Pertanto gli uomini e tutte le cose sono in dio, gli enti naturali sono per così dire pieghe dell'infinita sostanza universale.
«È dunque l'universo uno, infinito, inmobile. Una, dico, è la possibilità assoluta, uno l'atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo ed ottimo; il quale non deve posser essere compreso; e però infinibile e interminabile, e per tanto infinito e interminato, e per conseguenza inmobile.»
(De la causa, principio et uno)
La mostra di Sophie Ko è concepita come un frammento dell'universo infinito bruniano: con lo sguardo possiamo abbracciare pianeti grandi e piccoli, animali come i cavalli, pezzi di materia che fluttuano nello spazio, tutte le cose sono – come noi che ci aggiriamo negli ambienti della galleria – micro-rappresentazioni dell'infinità universo in cui viviamo e di cui siamo increspature nell'infinito mare universale.
Seguendo l'insegnamento di Bruno, Sophie Ko assegna una funzione centrale alla immaginazione: se l'essere umano è finito come è possibile che riesca a entrare in relazione con l'infinità dell'universo, cioè di dio? Se da un lato l'essere umano è in dio – e quindi si dà una coappartenza tra tutti gli esseri viventi e dio stesso – dall'altro la limitatezza della esistenza degli enti finiti pare imporsi come un valico inaccessibile per il ricongiungimento con l'infinità dell'essere. Per Bruno sono proprio le immagini la via che conduce il «furioso» – una figura che sta al di sopra del saggio – a consentirgli di oltrepassare i propri limiti. L'immaginazione è per Bruno la facoltà che è in grado dunque di ricongiungere la finitezza umana con l'infinità della natura, dell'universo, di dio, attraverso un «moto metafisico» che consente di vivere l'esperienza della apokalypsis, del disvelamento.
Eppure si potrebbe dire, proprio il nostro tempo pare imporsi per una ipertrofica produzione di immagini non certo per una mancanza di immagini, ma questa marea montante di immagini è priva di relazione con l'immaginazione: come scriveva Jean Baudrillard il nostro è il tempo dello «sterminio del reale» non per difetto di realtà, ma in seguito allo «sterminio della immaginazione».
Le immagini di Sophie Ko aprono a quel legame tra immaginazione e infinità dell'universo che ha caratterizzato parte della riflessione artistica rinascimentale, ma che può essere seguita come una vena aurifera che attraversa la storia delle arti e del pensiero filosofico occidentale. D'altra parte, tutto le opere di Sophie Ko sono un esercizio per tenere insieme con le immagini finito e infinito, tempo ed eternità, movimento e immobilità. Ogni pianeta qui esposto pare immobile, ma come ogni Geografia temporale la materia in esso raccolta cade come la sabbia di un orologio a polvere. E poi quello che vediamo è un pianeta, o è l'universo nella sua stessa infinità?
Ma in fondo anche il piccolo Rifugio di ferro che con la sua finestrella aperta chiede di essere osservato è la rappresentazione di una minuscola dimora, ma che potrebbe pur sempre essere il punto di accesso in immagine all'infinità dell'universo grazie alla facoltà immaginativa. È talmente anima che non è anima è il titolo della mostra: una citazione di Bruno in cui il filosofo italiano invita ad abbandonare la rappresentazione superstiziosa dell'anima – e quindi dell'universo – per abbracciare con l'immaginazione l'infinità dell'universo ovvero della nostra anima.
Testo di Maurizio Guerri, aprile 202